… cominciando a piovere dirottamente in ogni parte, gonfiò di maniera il Torrente che sormontò ben presto le mura del suo recinto, e con furia inaspettata si rovesciò a’ danni de’ Monasteri di santa Chiara e santa Margherita, dentro i quali si fece largo, et occupò tutte le stanze sopra la terra con estremo terrore et evidente pericolo di queste buone Religiose. Soggiacque alle medesime calamità il Collegio Gallio, contro il quale ultimamente si scaricò; perché atterrate le mura della Vigna, riempì questa di litta, di sabbia e pietre d’ogni sorte. Dalla Vigna s’inoltrò ne’ due Cortili, e nella Chiesa con ugual rabbia e romore, et in ogni luogo lasciò stampate orme compassionevoli del suo furore…

L'inondazione del Cosia

L’inondazione del Cosia avvenne il 14 ottobre dell’anno 1607.
Questo fatto venne riportato da P. Tatti nella sua vita di S.Giovanni da Meda.
Ecco il suo racconto:
«Erano più giorni che corrucciato il cielo aveva coperta la faccia del sole con una oscura e densa nuvolaglia. Presagì con questa il diluvio formidabile che poco tempo dopo seguì; perché cominciando a piovere dirottamente in ogni parte, gonfiò di maniera il Torrente che sormontò ben presto le mura del suo recinto, e con furia inaspettata si rovesciò a’ danni de’ Monasteri di S.Chiara e S.Margherita, dentro i quali si fece largo, et occupò tutte le stanze sopra la terra con estremo terrore et evidente pericolo di queste buone Religiose. Soggiacque alle medesime calamità il Collegio Gallio, contro il quale ultimamente si scaricò; perché atterrate le mura della Vigna, riempì questa di litta, di sabbia e pietre d’ogni sorte. Dalla Vigna s’inoltrò ne’ due Cortili, e nella Chiesa con ugual rabbia e rumore, et in ogni luogo lasciò stampate orme compassionevoli del suo furore. La Chiesa restò non solo allagata, ma tutta piena di litta e seminata a sassi che malamente la difformarono».
In Chiesa sotto l’Altar Maggiore a una altezza di 60 cm da terra si trovava l’arca di marmo che conteneva le spoglie di S.Giovanni da Meda. L’acqua riuscì a sommergere l’intera Arca e a portare al suo interno anche dei detriti che si frammischiarono alle ossa del santo.
«La Chiesa di Rondineto, che s’alzò a dismisura per la strana quantità della materia, di cui la colmò il torrente, restò così malconcia e ridotta a stato sì miserabile che niuno v’applicò mai l’animo a rimetterla allo stato primiero. […] Si determinò dunque, dopo molti anni, di profanarla et ergere in altro sito nuova Chiesa per uso del Collegio».
A ricordo di questa inondazione rimane una lapide di marmo.

Il testo originale della lapide

Il testo della lapide tradotto

«CITRA OMNIUM AETATIS NOSTRAE MEMORIAM COXIA REPENTINO ERUPIT IMPETU, HASQUEAEDES AD RUBRAM USQUE METAM INDICE NOTATAM AQUA ET LUTO REPLEVIT ANNO DOMINI MDCVII DIE XIV OCTOBRIS»

«Il Cosia, cosa non mai successa a memoria di tutti quelli dell’età nostra, uscì dal suo letto con repentino impeto e riempì d’acqua e di fango questo edificio fino alla meta indicata con una striscia rossa, l’anno del Signore 1607, il giorno 14 Ottobre».

La fabbrica della seconda chiesa

A seguito dell’inondazione si decise di profanare la Chiesa vecchia e di erigerne una nuova. A questo punto ci vengono in aiuto nuovamente le parole del P. Tatti che fu testimonio di quanto racconta: «alla determinazione corrispose l’effetto; perché l’anno 1635 si stabilì di fondare un ritratto della S.Casa di Loreto, in una parte del giardino che riguarda la Porta della Città. Tanto seguì à gli 11 di giugno, nel qual giorno si recò Monsignor Lazaro Carafino processionalmente dal Duomo con tutto il Clero della Cattedrale e della Collegiata di S.Fedele a collocare la prima pietra fondamentale: ciò che occorse doppo il Vespero dell’Apostolo S.Barnaba, con numeroso concorso e giubilo estremo della città».
Da una relazione giurata del 1684 conservata a Somasca veniamo a sapere che “della Chiesa di S.Maria di Rondineto si fece altro uso fabbricandosi nella parte inferiore le scole e nella superiore un granaio”. Le dette scuole sembra che non siano state sufficientemente igieniche.
Così fin da quell’epoca, l’antica chiesa fu ridotta parte a cantina e parte a legnaia, mentre la soffitta della medesima, cambiata dapprima in granaio, fu poi trasformata per farne delle scuole, certamente alzandone il tetto e adattando il locale a stanze abitabili.

Il seminario in Collegio

Nella "Bolla di fondazione" è espresso chiaramente come il Collegio sia stato fondato affinché i Padri Somaschi potessero educare i giovani «alla Religione e alla pietà, e li istruiscano nei buoni costumi, nelle scienze e varie discipline a seconda della capacità di ciascuno ». Sempre nella Bolla si dice: «…sperando in questo modo che si possano introdurre nuovi operai nella vigna del Signore».
Il Vescovo di Como Monsignor Lazaro Carafino non aveva ancora istituito nella sua diocesi alcun Seminario, mentre il Concilio di Trento ne comandava a ogni Vescovo l’istituzione. Egli, a causa della mancanza di mezzi, pensò di mettere in atto questo decreto, trasformando l’alunnato del Collegio Gallio in Seminario.
Furono allora avviate le pratiche presso la sacra Congregazione De Propaganda Fide cui dipendevano i seminari confinanti con i paesi protestanti.
Il decreto della Congregazione fu emanato il 6 marzo 1629 e confermato da uno successivo datato 23 marzo dello stesso anno.
Gli alunni del Collegio venivano quindi obbligati alla vita ecclesiastica.

La peste del 1630

Uno dei più gravi avvenimenti per tutta la Lombardia è la peste del 1630-31 quella descritta dal Manzoni.
A seguito di questa epidemia morirono a Como 10.000 persone.
Nessun documento speciale ci dice se anche in Collegio il contagio abbia mietuto le sue vittime. Troviamo memoria di questa calamità nei soli libri dei conti, nei quali però si parla del Collegio come di una casa qualunque colpita dalla peste.
Il primo documento riguarda la morte del barbiere del Collegio i cui parenti chiesero all’economo la somma di L. 20 per gli ultimi mesi di servizio.
Il Collegio durante la peste è stato chiuso un anno intero e questo è testimoniato da una nota del Giornale delle Spese riportata sotto la data del giorno 8 ottobre 1631 in cui si legge: «si asperse il Collegio chiuso un anno intiero per la peste et si notarano le spese che si fecero e si fano a beneficio del Collegio».

La vita degli alunni del Collegio

Dal 1629 al 1772 la disciplina interna dell’Alunnato e il modo di vita dei giovani chierici, per quanto riguardava la pietà e l’indirizzo degli studi fu sempre mantenuto costante da certe ”Regole stabilite in atto di visita da Monsignor Lazaro Carafino”, le Regole da lui appositamente dettate per il bene morale delle “tenere pianticelle” che dovevano crescere e sempre meglio prosperare in questo asilo di virtù e di sapienza per il bene futuro della sua vasta diocesi.
In quelle Regole parlava in separati capitoli della “Divozione”, della Confessione e Comunione, dell’Uffizio della Beata Vergine ed altre devozioni, dell’Orazione, della Messa, dell’Ubbidienza, della Modestia in casa e fuori di casa, della Polizia nel vestire, del Silenzio, dello Studio, dei Sermoni et Orazioni, del canto, della Ricreazione e di quello che fa bisogno per gli alunni.
” Regole stabilite in atto di visita da Monsignor Lazaro Carafino”.
Nel primo capitolo dimostrava come la devozione sia la base, il fondamento della vita spirituale e come essa sia non solo utile ma necessaria.
Nel secondo prescriveva una Confessione generale il giorno dell’ entrata in Collegio, poi raccomandava la Confessione e la Comunione almeno mensile e nelle feste del Signore e della Madonna, o più frequenti ancora, in conformità con la devozione di ciascuno o con il parere del padre spirituale. Dovevano recitare L’Ufficio della Madonna ogni giorno, e recitare la terza parte del Rosario, raccomandando di recitarlo tutto intero almeno una volta alla settimana. Veniva pure raccomandato che la sera facessero un pochetto di orazione mentale ad arbitrio del Superiore e l’esame di coscienza nel quale si doveva essere rigorosi ovvero non pronti a condonarsi gli errori commessi ma riconoscendoli e chiedendo aiuto al Signore.
Dai due capitoli “Dello Studio e Delli Sermoni et orazioni” si può conoscere quali fossero i programmi e i metodi scolastici di un tempo. In quello ”Dello studio” si legge tra l’altre cose: “Li chierici attenderanno con ogni diligenza a quei studi a’quali saranno da’ Superiori applicati. In Collegio siano tre scuole, od almeno tre classi, una di Grammatica, l’altra di Umanità e Retorica la terza. Nella Grammatica sarà carico de’ Maestri insegnare a’ figlioli le regole inferiori; nell’Umanità si proporranno latini da farsi elegantemente, epistole da comporsi, delle quali si daranno li precetti et versi d’accomodare, dichiarandone la prosodia. Nella Retorica il Maestro darà argomenti di comporre versi, orazioni et simili, et procurerà che si eserciti l’alunno ne’ suoi esercitamenti. Nel che sarà carico del Superiore fare almeno due volte l’anno l’esame, et chi troverà a non aver fatto profitti lo castighi, e se vi fosse qualcuno inabile alle lettere se ne dii parte a’ signori Amministratori i quali lo manderanno fuori dal Collegio dando il luogo ad altri che via più si approfitterà. Nelle due scuole o classi superiori si parli sempre latinamente, et diasi il segno al contrafaciente, et sii dal suo Padre Maestro punito. Se sarà alcuno giudicato atto alla Filosofia non si possa promuovere senza dei signori Amministratori”.
Il capitolo “Delli sermoni et Orazioni” è il seguente: “Se in tutte le arti si richiede lungo esercizio, lo si richiede particolarmente nell’eloquenza, la cui perfezione proviene dallo stesso esercitarsi. In questo li Chierici et quelli fra gli altri che attendono allo studio delle lettere umane, soventi volte s’esercitano recitando sermoni et orazioni latine. S’avvertino però di non recitare cosa da loro stessi composta, se prima non la mostrino al Prefetto degli studi od al Padre loro Maestro. Se vi fosse alcuno che per la debolezza d’ingegno a difetto di memoria non potesse apprendere l’arte del bel dire, almeno abbracci questo, cioè facci qualche sermoncino, senza ornamento di parole e t fiore d’eloquenza, come se fosse all’altare, all’usanza de’ curati, col quale esercizio dia segno di sapere almeno ammaestrare lui popoli nella dottrina Vangelica; il che principalmente dovrà farsi da quelli che saranno più vicini all’età di dire la Messa”.

Andamento materiale

Vediamo ora quale fosse l’andamento materiale del Collegio dal 1629 fino circa il 1750. I Deputati del Consiglio di Amministrazione furono sempre quelli fissati nella Bolla di fondazione, cioè Monsignor Vescovo pro tempore Presidente, il Primogenito della famiglia Gallio, un canonico della Cattedrale di Como, il p. Preposto pro tempore del Collegio e un nobile di Como, nominato dagli altri Deputati.
Per quanto riguarda il giudizio sulla abilità o inabilità degli alunni riguardo agli studi fu sempre diritto esclusivo dei Padri.
L’Amministrazione però determinava quale fosse l’istruzione che i detti Padri dovessero pretendere negli esaminandi per ottenere il posto. Il numero degli alunni, che nella Bolla fu fissato di 50 più o meno, fu vario nei tempi. In alcuni anni furono solamente sedici, ma qualche volta il Collegio rimase senza alunni, per mancanza di redditi, come nel 1693. Nel 1700 si arrivò anche a ospitarne 30.
Per il trattamento degli alunni abbiamo un’ordinanza in cui è stabilito che gli stessi avessero 25 once di pane di frumento, un boccale di vino al giorno, minestra mattina e sera, mezza libra di carne al giorno per pietanza, e l’antipasto quattro volte alla settimana.