La struttura del nostro Collegio nel 1757 appariva piuttosto diversa dall’attuale: oltre alla chiesa, si riduceva alle parti che racchiudevano quello che oggi siamo soliti chiamare il primo cortile. La stanza occupata ora dal portinaio serviva da Archivio. Il portinaio stava nell’atrio dove ora sono appesi gli orari. Alla destra della porta verso la strada vi era il locale del forno (rimasto in funzione fino all’estate del 1918), dove ogni giorno si cuoceva il pane per il Collegio.

A proposito di refettori, vi era soltanto la parte adiacente il cortile e dunque nello stesso locale pranzavano Padri, Prefetti alunni e convittori. Durante tutto il tempo della refezione, momento in cui si osservava rigoroso silenzio, avveniva la lettura di qualche libro spirituale, ad opera di un alunno o di un convittore.

La ricostruzione del Collegio

L’antica dimora degli Umiliati, che era stata adattata a uso di Collegio, venne restaurata e in parte riedificata a partire dal 1681, divenendo così un edificio più bello e grandioso.
Gli Amministratori e i Padri Somaschi furono costretti a prendere una tale decisione a causa delle inondazioni del torrente Cosia e del lago.
Il lago non allagava direttamente l’edificio ma attraverso il sottosuolo da cui filtravano le sue acque. Le acque del Cosia invece invadevano direttamente il Collegio arrecando danni già nel 1607 nel 1646 e nel 1648 e nel 1667 a Porta Torre crollarono cento braccia del muro della città. Il Cosia poi ritornò alle sue imprese nel 1673, nel 1676, nel 1677 e nel 1681.
Furono certo le ultime piene accennate succedutesi a così breve distanza, che consigliarono i Deputati della Congregazione Gallia e i Padri del Collegio a provvedere perché simili disastri non dovessero colpire tanto facilmente la vigna e il caseggiato.
Sono andate purtroppo perdute tutte le memorie riguardanti quell’epoca; i fatti però possono essere ricostruiti grazie ad alcune scritture del secolo seguente.
Le strutture per gli Alunni e i Padri furono costruite a spese della Congregazione, mentre i Padri Somaschi si presero carico dell’abitazione per i Convittori, che fu ricavata aggiungendo il terzo piano, e degli abbellimenti. In particolare ci si preoccupò dei serramenti, di ornare lo scalone con affreschi, vasi e balaustre, di abbellire il cortile e di sistemare la vigna. Non dobbiamo poi dimenticare il campanile la cui costruzione risale al 1704.
Il Collegio secondo le intenzioni del Cardinale fondatore doveva essere “una casa di poveri”, ma i tempi dopo un secolo erano cambiati: il buon gusto in arte e il desiderio dei palazzi e degli istituti insigni per la loro struttura architettonica erano venuti quasi di moda.
Non ci si deve stupire allora se il Collegio Pontificio Gallio seguì la tendenza allora in atto e per il rifacimento della facciata si rivolse all’architetto Agostino Silva da Morbio Inferiore presso Chiasso.

Approfondimenti artistici

Hominem quero

Cerco un uomo

Diogene
Sinope 405 a.C. - Corinto 323 a.C.

Quid malum simul et bonum? Lingua

Quale cosa è nello stesso tempo un male e un bene? La lingua.

Anacarsi
Scizia 600 a.C. - Atene

Quis nescit tacere nescit loqui.

Chi non sa tacere non sa parlare

Pitagora
Samo - Metapontum

Ignis aurum, amicum adversa probant.

Il fuoco prova
l’oro, la avversità l’amico.

Diogene
Sinope 405 a.C. - Corinto 323 a.C.

Sapientia radix amara, sed fructus dulces.

La radice del sapere è amara, ma i frutti sono dolci.

Aristotele
Stagira 385 a.C. - Calcide 322 a.C.

Post cineres gloria sera venit.

La gloria che ci vien tributata dopo la morte arriva troppo tardi.

Marziale
Biblis 40 d.C. - Roma 104 d.C.

Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo.

La goccia scava la pietra non con la forza, ma col cadere spesso.

Publio Ovidio Nasone
Sulmona 43 a.C. - Tomi 17 o 17 d.C.

Digna omnia risu.

Tutte le cose sono degne di riso.

Democrito
Abdera 460 a.C. - 370 a.C.

Digna omnia luctu.

Tutte le cose sono degne di pianto.

Eraclide Pontico
Eraclea Pontica, 385 a.C. - Atene, 322 a.C. o 310 a.C.

Nosce te ipsum.

Conosci te stesso.

Talete
Turchia - Mileto

Unum scio me nihil scire.

Una sola cosa so, di non saper nulla.

Socrate
Alopece -
Atene 399 a.C.

Plus audias quam loquaris.

Parla poco e ascolta assai.

Zenone
Marina di Ascea - Marina di Ascea

Honesta mors turpi vita potior.

Una morte onorata è da preferirsi ad una vita turpe.

Publio Cornelio Tacito
Gallia, 56 d.C. - 120 d.C.

Labor omnia vincit.

La fatica vince ogni cosa.

Virgilio
Virgilio, 70 a.C. - Brindisi, 19 a.C.

Neque risu sine fletu.

Non c’è rosa senza spine.

Procopio
Cesarea - Costantinopoli

Summum ju summa iniuria.

Il diritto con eccessiva severità è la più grande ingiustizia.

Marco Tullio Cicerone
Arpino, 106 a.C. - Formia, 43 a.C.

Nescit vox missa reverit.

Voce dal sen fuggita più richiamar no vale.

Quinto Orazio Flacco
Venosa, 65 a.C. - Roma, 8 a.C.

Ne temptes quod effici non possit.

Non tentare ciò che non può essere fatto.

Marco Fabio Quintiliano
Calahorra - Roma

Regium est benefacere et maledicere.

È proprio dei re il beneficare e l’esser maledetti.

Antistene
Atene, 445 a.C. - Atene, 365 a.C.

La chiesa della Beata Vergine di Loreto

Avvenuta la riapertura del Convitto nel 1704, le cose mutarono in meglio.
Non solo non fu più turbata la buona armonia fra gli Amministratori e i dirigenti del Collegio, ma questo cominciò a godere di un lungo periodo di vita tranquilla, grazie anche ad un valentissimo Rettore, Padre Don Felice Fabrizio Sirtori che rimase in carica per quasi quarant’anni contrastando l’usanza che il superiore venisse cambiato ogni tre anni.
Fu nel principio del suo Rettorato che venne istituita la cattedra di Filosofia anche perché, era cresciuto con il tempo, il bisogno di rendere stabile questo insegnamento. Così, ai Padri Somaschi si aggiunse un nuovo padre che teneva tale Cattedra, chiamato Lettore di Filosofia.

La costruzione della Chiesa

Con il tempo i Padri Somaschi pensarono di far innalzare una nuova chiesa, e nel 1675 ne era già terminato il disegno. Purtroppo furono gettate solo le fondamenta in quanto mancarono i mezzi.
Grazie ai legati di due signori molto pii, certi Giovanni Battista Benzi e Francesco Maria Peri, nonché a un prestito gratuito fattogli dalle Congregazioni Amministrative, i Padri Somaschi poterono far cominciare i lavori di messa in opera della nuova Chiesa nel 1745 che terminarono nel 1755.
In questa terza chiesa, oltre l’alter maggiore, furono costruiti anche due altari laterali, dedicando quello posto alla destra di chi guarda l’altar maggiore a S.Giovanni da Meda l’altro a S.Girolamo Miani.
Per ornare il primo di questi altari fu fatta dipingere la gran pala d’altare dal pittore ticinese Petrini, di Carona presso Lugano, che raffigurò il santo in ginocchio in atto di scrivere le regole del nuovo Ordine degli Umiliati da lui fondato, regole che gli sono inspirate da Dio stesso per mezzo di un Angelo, che gli sta al fianco, quasi dettando quello che deve scrivere.
La pala dell’altro altare è dell’artista Carlo Carloni, e rappresenta S.Girolamo con i suoi orfanelli ai quali appare la Vergine Santissima.

La consacrazione della nuova Chiesa

La Chiesa fu consacrata nel 1754 il giorno 10 dicembre, giorno in cui la Santa Chiesa commemora e festeggia il miracoloso trasporto della Santa Casa di Loreto.
La consacrazione della Chiesa così come ci viene riferita da Il libro degli Atti dei Padri Somaschi:
«Fattasi la nuova nostra chiesa, non ha tralasciato con tutta la maggiore attenzione e premura il M. R. P. Don Giampietro Roviglio, Preposito di questo Pontificio Collegio, di terminare pure per ogni modo possibile tutti gli altari, ed ogni altro necessario ornamento per renderla lodevolmente officiabile; onde preceduto il digiuno di questa nostra religiosa famiglia, in questo giorno Monsignor Vescovo Don Giambatta Peregrini, assistito da due nobili signori Canonici della Cattedrale, Sangiuliani e Cassina, si è compiaciuto di solennemente consacrarla in onore della B. V. di Loreto. Nella quale occasione consacrò pure la mensa di marmo dell’altare di S.Giovanni da Meda, nel cui altare terminata la Consacrazione della Chiesa si degnò pure lo stesso prelato di celebrare in abito Pontificale la Santa Messa.»

Gli oratori

Importante citare che a quei tempi vi erano anche due stanze che servivano come da succursali alle Nuove Chiese formando due oratori distinti, l’uno per l’uso dei Convittori, l’altro per gli Alunni. In esse si adunavano i Convittori e glia Alunni “nei giorni festivi a recitare l’offizio della Beata Vergine e per gli altri uffici di pietà, sotto la direzione d’uno de’Padri, il quale li trattiene con qualche spirituale ragionamento”.
Dei due oratori rimangono ancora visibili alcune tracce. In quello degli Alunni rimane l’affresco rappresentante la Vergine Assunta. Nell’Oratorio dei Convittori si può tuttora ammirare il bell’affresco rappresentante l’Arcangelo San Michele che debella Lucifero.

La visita apostolica di Monsignor Verri (1757)

Monsignor Verri, Canonico Primicerio della Metropolitana di Milano, giunse a Como il giorno 4 maggio e ne ripartì il giorno 16.
Il Visitatore Apostolico appena giunto risolse una questione riguardante i posti occupati dai vari Amministratori durante il consiglio d’Amministrazione che si era creata a seguito all’arrivo del procuratore dell’erede della Famiglia Gallio.
Monsignor Verri si poté poi occupare dell’ispezione della struttura del Collegio Gallio e, soprattutto, dell’esame di alcune situazioni riguardanti il rapporto tra alunni e convittori.
La sua minuziosa relazione potrebbe essere intitolata tranquillamente “Una passeggiata per il Collegio nel maggio 1757”.
Il Visitatore Apostolico fu assai soddisfatto di poter comunicare alla Sacra Congregazione di Propaganda che: i convittori venivano educati dai Padri ad una disciplina tale da non costituire per gli alunni nessuna fonte di cattivo esempio o distrazione; inoltre i balli e le rappresentazioni teatrali erano i primi svolti in un’unica stanza lontano dall’ala degli alunni e le seconde erano messe in atto solo una volta all’anno. La creazione del Convitto consentiva ai figli delle famiglie nobili di Como di ricevere una valida istruzione e infine garantiva il finanziamento del Collegio. Nell’ultima parte della relazione Monsignor Verri consigliava l’istituzione della cattedra di Teologia Morale di riprendere l’istruzione dei chierici nel canto fermo.

Stemma dell’Accademia degli Indifferenti

Presso la sala vicina all’attuale portineria del Collegio esiste un quadro, situato di fronte allo stemma del Cardinal Gallio, rappresentante lo stemma dell’Accademia degli Indifferenti.
L’artistica e preziosa cornice racchiude una tela di due metri per due che raffigura un intreccio di emblemi ricordanti le varie categorie di persone che potevano essere Membri dell’Accademia, nonché le lettere, le arti e le scienze mediante le quali gli accademici si proponevano di illustrare gli svariati temi che sarebbero stati trattati nelle loro tornate, temi suggeriti per lo più dalle solennità religiose o dagli avvenimenti politici, civili e guerreschi del tempo. Nel mezzo di questo quadro è dipinto un tavolo su cui è posta una palla, la quale sembra ripeterci il motto degli Accademici: “Veniam quocumque vocaris.” (Verrò dovunque tu mi chiamerai).

L'Accademia in Collegio

Non abbiamo notizie precise a proposito di quando fosse sorta in Collegio l’Accademia degli Indifferenti.
Certo però che fin dal principio si ebbe qualche cosa di simile, poiché quando nel 1589 il vescovo Monsignor Ninguarda venne per la prima volta a visitare il luogo destinato a sede del futuro Istituto fondato dal Cardinal Gallio e abitato allora dai soli padri e convittori paganti questi lo accolsero con ogni segno di ossequio e con la lettura di versi.
Durante le rappresentazioni, gli accademici potevano essere interrogati sia dagli studiosi presenti che dagli stessi spettatori.
Abbiamo notizia di diverse feste accademiche alcune delle quali avvenute in occasioni importanti come la consacrazione della nuova Chiesa (11 dicembre 1754).
In data 27 luglio 1657 troviamo registrata un’Accademia privata, che fu assai strana finì per trasformarsi in un vero e proprio esame di geografia, che gli allievi del Collegio affrontarono brillantemente, dando così prova della qualità dell’insegnamento che veniva impartito loro.
Ma fu solo nel 1759 che padre Benedetto Odescalchi, da due anni Padre Preposto del Collegio, pensò di costituire formalmente l’Accademia, che già esisteva virtualmente e che forse nel passato era stata regolarmente istituita, ma che aveva poi abbandonata o trascurata la forma ufficiale. Dapprima fu solo accademia di lettere; in seguito, quattro anni dopo, vi si aggiunsero le arti, cioè furono chiamati a farne parte anche giovani esperti nella musica, nel canto, nel ballo e perfino nel disegno.

Le leggi dell’Accademia degli indifferenti e momenti significativi

L’Accademia degli Indifferenti, istituita il 6 aprile 1759, ricevette uno statuto articolato in trenta punti che fissava il numero massimo degli accademici (retorici e filosofi) a ventuno, stabiliva che essi si ritrovassero quattro volte all’anno e dava basi solide e durevoli all’itera istituzione.
L’Accademia così costituita ebbe certamente vita prospera ed onorata fino al 14 luglio 1809, cioè fino a che i Padri Somaschi rimasero alla direzione del Collegio come corporazione religiosa; non sappiamo se abbia continuato a vivere anche dopo, né quando e perché sia stata sciolta. Sarebbe risorta per un breve periodo nel 1861.
L’ultima festa accademica risale al 14 luglio 1809, nella quale “si celebrarono le eroiche gesta del gloriosissimo Imperatore e Re Napoleone, quelle di sua Altezza Imperiale e Vice Re Eugenio, suo figlio, e di tutti i prodi militari francesi”. La serata più sontuosa presentata in Collegio dagli accademici porta invece la data 21 luglio 1761, in onore di Monsignor Peregrino che era stato nominato nuovo vescovo di Como. In tale occasione la rappresentazione si svolse nel primo cortile.

Approfondimenti

Il nome generico di “Accademia” trae origine dal nome dell’antico ateniese Accademo, il quale donò al popolo un ampio terreno che fu convertito in un pubblico giardino, nel quale poi Platone era solito adunare i suoi discepoli: per cui la scuola fu chiamata Accademia e Accademici i suoi scolari. Il nome “Accademia” fu i seguito assunto anche da altre scuole filosofiche derivate da quella di Platone.
Attualmente con il termine “accademia” si indica qualunque raduno di dotti studiosi, in qualsiasi ramo di letteratura o di scienza, ed il luogo stesso in cui si ritrovarono. Fin dal tempo di Cicerone il nome accademia non indicò più una scuola filosofica, ma una raccolta di letterati, poiché egli diede questo nome ad una sua villa presso Pozzuoli, nella quale soleva ospitare poeti e letterati del suo tempo, affinché ivi si intrattenessero in dotte dispute.
La società riunita da Carlo Magno fu la prima vera accademia moderna, mentre un secolo più tardi il Re Alfredo d’Inghilterra fondava la celebre Accademia di Oxford. Tuttavia fu l’Italia il primo paese in cui fiorirono accademie letterarie e scientifiche secondo la forma moderna: dal secolo XIII in avanti sorsero numerosissime accademie, tra le quali le più degne di menzione sono quella fondata da Brunetto Latini, maestro di Dante, a Firenze nel 1270, quella costituita a Palermo da Federico II nel 1300, l’Accademia Platonica di Firenze fondata da Lorenzo de’ Medici, l’accademia dei Lincei sorta a Roma nel 1606 (di cui fu membro Galileo Galilei), l’Accademia della Crusca nata a Firenze nel 1580 (nota per essersi prefissa lo scopo di purificare la lingua italiana e di stamparne il Vocabolario), l’Accademia degli Arcadi, costruitasi a Roma verso la fine del secolo XVII.
Accanto a quelle di maggior importanza ne sorsero molte altre più modeste, che comunque non mancarono di dare il loro contributo nel tener desti la fiaccola del sapere e l’amore del bello tra i membri delle varie associazioni. Ogni Istituto quindi, ogni casa di educazione che raccogliesse tra le sue mura un buon numero di giovani studiosi, specialmente se benestanti, costituiva un’accademia in forma regolare e stabiliva quante tornate dovessero prescriversi ogni anno. Queste tornate erano una specie di festa, in cui i vari accademici dovevano leggere qualche loro componimento poetico, italiano o latino, raramente greco, intorno a un comune argomento che veniva precedentemente fissato. A questa festa erano invitate tutte le persone più autorevoli e dotte della città o del luogo dove era data la serata accademica, la quale veniva rallegrata di solito da canti e suoni talora anche da balli per alternare il piacere ed il divertimento degli spettatori.
In molti Istituiti, anche se non vi era un’accademia regolarmente costituita, venivano ugualmente presentate serate accademiche, non solo per esercitare l’ingegno degli allievi, ma anche per procurare loro sollievo, dal momento che quelle serate erano le feste più belle per i collegiali di quei tempi.
Le difese di filosofia, che altro non erano se non pubblici esami di filosofia, presentavano qualche somiglianza con le accademie.
La filosofia veniva studiata esclusivamente ed abbastanza ampiamente per due anni dopo la retorica e le difese si davano di solito ogni due anni, nel salone del Collegio, alla presenza di moltissimi invitati tra cui figuravano esponenti del clero, secolare e regolare, nobili e persone esperte in filosofia.
Durante lo svolgimento dell’esame, il professore presentava le tesi comprendenti tutta la materia studiata, poi questi cedeva la parola a tre dotti, estranei al Collegio, che rivolgevano all’esaminando domande inerenti a tali tesi.
Nel corso della prova l’allievo poteva essere interrogato anche dagli spettatori. Questo esame non veniva sostenuto da tutti gli studenti di filosofia, ma soltanto da quelli ritenuti migliori, dal momento che non tutti sarebbero stati in grado di affrontare una disputa dopo soli due anni di studio della materia, per di più di fronte ad un pubblico così numerosa e scelto.
Per dare maggior pompa alla festa, questa dispute si tenevano generalmente in onore di qualche illustra persona benefattrice o parente o protettore dell’esaminando, oppure semplicemente in onore di una persona illustre (per esempio un santo).
Un’altra occasione di divertimento, ma anche di educazione letteraria e morale, per i convittori e gli alunni, era il periodo di carnevale, poiché in quella settimana le due camerate dei convittori maggiori, qualche volta anche la terza comparivano sul palco per rappresentare di solito una tragedia e una commedia; gli alunni, secondo i desideri manifestati dai Visitatori Apostolici, non prendevano parte diretta a queste rappresentazioni, ma vi assistevano solo come spettatori.
La tragedia e la commedia erano scelte tra le migliori degli autori allora in voga; dovendo però organizzare questi intrattenimenti con un po’ di sfarzo, come voleva l’uso di quel tempo, questi otto o dieci giorni di serate teatrali costavano non poco e per qualche anno se ne fece a meno o si costruirono con qualche accademia. E’ naturalmente da escludersi la possibilità che le opere scelte contenessero scene indecorose od immorali, come richiedevano l’ambiente in cui venivano recitate e la persone stesse chiamate a rappresentarle, tanto più che spesso erano onorate dalla presenza del vescovo. Le recitazioni teatrali erano quasi sempre rallegrate negli intermezzi da canti, balli e pezzi musicali eseguiti con vari strumenti.
L’orazione degli studi era un discorso accademico o una conferenza letteraria che si teneva solitamente l’ultimo giorno di ottobre o nei primi giorni di novembre per inaugurare il nuovo anno scolastico, che iniziava quasi sempre il 4 novembre, giorno dedicato a san Carlo Borromeo.
Sfortunatamente, nelle relazioni dell’epoca non viene mai indicato l’argomento che l’oratore aveva scelto quale quale tema della propria dissertazione: sappiamo invece che l’orazione veniva tenuta dal padre professore della scuola di retorica e che fino all’ultimo quarto del XVIII secolo veniva pronunciata rigorosamente in lingua latina.
La prima orazione in Italiano risale al 19 Maggio del 1781. Per quanto riguarda l’argomento, era sempre scelto Fra i temi che si studiavano nella scuola di retorica. Questa conferenza aveva sempre luogo nel salone, alla presenza non solo degli alunni e dei convittori, ma anche con la partecipazione della nobiltà, del clero secolare e regolare e di tutti i più dotti e distinti personaggi della città. Anche l’orazione degli studi non sappiamo fino a quando sia durata regolarmente; può darsi che sia stata tenuta con continuità e che soltanto non si abbia più avuta la cura di stenderne volta per volta la relazione.
Abbiamo già detto che vi sono discorsi stampati per questa festa scolastica dopo il 1830. Essa sarebbe risorta, fusa con l’accademia nel 1862, anche se si sarebbe trattato di un un piccolo periodo di breve durata. In seguito si sarebbero svolte solo saltuariamente. Si sarebbero tenute le moderne conferenza o commemorazioni scolastiche.
Giova comunque ricordare come, a lato dei momenti di divertimento o di intrattenimento sopra esposti, perseverasse attenta, vigile e costante l’educazione al sentimento cristiano, affiancata dall’istruzione morale, religiosa e civile di tutti i giovani, ed insieme alle feste profane non mancassero in collegio le solennità religiose in cui il cuore e la mente venivano coltivati alla pietà.
Erano sempre in vigore in Collegio le regole di mons. Carafino, dettate in modo particolare per gli alunni, ma che praticamente venivano osservate anche dai convittori; queste regole facevano si che ogni convittore e ogni alunno seguisse giornalmente la Santa Messa, che tutti dicessero le preghiere prescritte e che i riti religiosi, celebrati con tutta la pompa del sacro rito, rapissero ed estasiassero questi giovani.
Dal 1714 la Lombardia era passata sotto il dominio austriaco. Anche Como, quindi dal 1740 al 1780, si trovò soggetta alla grande imperatrice e regina Maria Teresa, a cui nel 1765 si era aggregato al trono il figlio Giuseppe.
Questi alla morte della madre, assunse il titolo di Giuseppe II e regnò solo fino al 1790. Negli ultimi quindici anni del regno di Maria Teresa e più ancora durante il Governo di Giuseppe II una grande burrasca innovatrice si scatenò su tutte le terre soggette al loro dominio. Tale burrasca fu da un lato all’origine di diversi ammodernamenti dello stato, dall’altro fu caratterizzata da una particolare ingerenza negli affari religiosi.
Nell’arco di quattro anni, nel comasco ben quattordici monasteri dovettero cessare la loro attività ed altri ancora furono trasferiti, essendo stata ordinata la cancellazione delle monache puramente contemplative, senza alcun visibile servigio o utilità né al pubblico né al prossimo. Ma l’atto che più suscitò scalpore fu l’abolizione dei Gesuiti, chiesta unanimemente dai principi e decretata alla fine anche dal papa.
Giuseppe II fu definito da Federico II di Prussia “re sagrestano” perché arrivò a fissare il numero delle candele da accendere nelle chiese durante le varie funzioni religiose. Otto giorni prima di morire Giuseppe II abolì le suddette leggi vessatorie, ma ormai il male era fatto e il suo successore Leopoldo visse troppo poco per conseguire il suo nobile intento.
La burrasca innovatrice raggiunse anche il nostro Collegio, nel 1769, per opera dei delegati delle tre pievi di Dongo, Gravedona, e Sorico che, sfruttando le circostanze favorevoli al loro intento, presentarono al governo ricorso riguardante in il fatto che da molti anni il Collegio Gallio non accogliesse tra i suoi alunni dieci ragazzi provenienti dalle sopracitate pievi come stabilito nella Bolla di fondazione. Per questi ragazzi non c’era l’obbligo di diventare sacerdoti come stabilito da un decreto del 1629 della Congregazione – de Propaganda fide – approvato dal papa Urbano VIII. Nel 1769, cioè all’epoca del ricorso fra gli studenti del Collegio se ne annoveravano solo due di quelle tre pievi, mentre ne erano presenti diciassette provenienti dalla Svizzera.
Gli incartamenti riguardanti la questione delle tre pievi passarono tra le mani di diversi funzionari anche molto importanti fino ad arrivare al Governo centrale di Vienna, che, studiato nuovamente l’affare, rimise le sue proposte all’Imperatrice Maria Teresa, la quale il 6 luglio 1770, emanò a proposito uno speciale decreto in cui dichiarò: «abbiamo noi pure riconosciuto di non essere attendibile il posteriore Decreto di riforma del detto Collegio, fatto dalla Congregazione Romana della Propaganda fede perché arbitrario, emanato senza concorso del principe territoriale e destituito del R. Exequatur, come altresì pregiudizievole al diritto dei Terzi ed al bene dello Stato, e perciò confermandoci noi interamente al parere della Giunta, acciò le tre pievi suddette siano mantenute nel loro antico diritto di essere accettati delle medesime in qualità di alunni del predetto Collegio…»
Va però notato che in quel momento le tre pievi non avrebbero avuto il diritto di avere dieci alunni in Collegio, ma solamente sei perché nella Bolla veniva loro assegnato un quinto degli posti totali, che erano trenta.
A Como, come in tutte le altre città dell’impero, il governo aveva nominato i suoi ispettori col titolo di “visitatori dei luoghi pii”, incaricati di controllare tutte le attività economiche e morali degli istituti di beneficenza. In principio, però, essi trovarono qualche ostilità nell’esercizio del loro ufficio da parte dell’amministrazione del Gallio che vedeva menomata la propria autorità da questa ingerenza.
Alla fine tuttavia, in seguito alle rimostranze ufficiali dei visitatori, l’amministrazione dovette lasciarli lavorare liberamente e accettare tutte le norme che il governo aveva stabilito per tutti i luoghi pii tra cui l’obbligo di presentare ogni anno i bilanci al governo secondo il “Real Dispacio” del 5 dicembre 1771.

La soppressione dell’alunnato (1774-1787)

Rimasto solo sul trono imperiale, Giuseppe II intensificò ulteriormente l’opera di rinnovamento delle istituzioni.
Ciò che riguardò il Collegio Gallio fu un decreto del 26 marzo 1787, in cui si ordinava che tutti i Collegi di Lombardia nei quali si educavano gratuitamente i giovani negli studi, fossero chiusi e i loro beni incorporati nel fondo per la pubblica istruzione. Il Collegio Gallio sarebbe tornato alla sua precedente condizione soltanto nel 1791. Ma ecco parte del famigerato decreto:
«Ill.mo e Rev.mo Sig.re Sig.re Pro.n Col.mo. Volendo Sua Maestà estendere le massime generali che già sono in corso ne’suoi Stati Ereditari di Germania, ha ordinato che siano incorporati al fondo per la pubblica istruzione tutte le rendite in origine destinate a mantenere gratuitamente la gioventù nei Collegi di Lombardia, per convertirla in tanti stipendi a favore degli studenti della R Università di Pavia, e però in conseguenza della relativa Sovrana disposizione deve cessare il Collegio Gallio, ed essere applicato quel patrimonio negli usi come sopra indicati…».
Dopo aver perduto l’alunnato, i padri somaschi si adoperarono affinché sopravvivesse almeno il convitto ed inoltrarono una domanda al governo al fine di ottenere in affitto i locali del Collegio per destinarli all’educazione di quei giovani che potevano sostenerne le spese. La proposta dei padri fu approvata e lodata dal governo.
In Collegio, a partire dal novembre 1787 e cioè con l’inizio del nuovo anno scolastico era aumentato il numero dei convittori, dal momento che era divenuto disponibile il locale precedentemente occupato dagli alunni.
Il governo trasformò le entrate derivanti dall’assunzione dei beni del Collegio Gallio in borse di studio a favore dei giovani che ne avessero necessità, purché nati e residenti sul territorio imperiale.
Rimasero così esclusi tutti i giovani della Valtellina, soggetta ai Grigioni, e di quei territori svizzeri che facevano comunque parte della diocesi di Como; il loro posto fu preso da altrettanti ragazzi del milanese. Dalla fine del 1787, l’alunnato proseguì la sua vita fuori del Collegio.
Morto Giuseppe II il 20 febbraio 1790 salì al trono il fratello Leopoldo II. Granduca di Toscana, il quale nel 1791 visitò la Lombardia. Venuto anche a Como, non mancò di visitare il nostro Collegio. Questa visita augusta avvenne il 10 giugno.
«Mentre Sua Maestà l’Imperatore Leopoldo va scorrendo per modo di visita la Lombardia Austriaca, portandosi pure a Como, fra gli altri luoghi di questa città da essa degnati di una sua amorevole visita e graziosa approvazione, è stata in questo dì, per noi felice e da rammentarsi mai sempre, il Collegio Gallio, avendo Ella voluto vedere ed attentamente osservare ognuna delle quattro camerate che li compongono. Sì per il bell’ordine ond’erono in esse schierati i signori convittori, e pel loro pulito e modesto atteggiamento, come pure per esser ogni cosa ben disposta e rassettata, non meno Sua Maestà che gli Arciduchini suoi degnissimi figlioli e Sua Altezza Reale l’Arciduca Ferdinando, che con dolci ed affabili maniere si trattenne ragionando con alquanti di questi signorini, han dimostrato tutti insieme una ben sensibile compiacenza e commendazione del nostro Collegio; la qual cosa risaputasi per tutta la città ci ha meritato la sincere congratulazioni ed i replicanti elogi della medesima».
Quando Leopoldo II ascese al trono d’Austria, tutte le città della Lombardia, tra cui Como, gli inviarono delegati per domandare l’abolizione delle molteplici gravose norme che il suo defunto fratello aveva emanato. Di temperamento più mite rispetto al congiunto, Leopoldo II prese in considerazione le richieste dei suoi sudditi e, tra le altre concessioni promise che avrebbe ridonata al Collegio la vita di pochi anni prima. Difatti nei primi giorni di settembre giungeva a Monsignor Vescovo la lettera seguente del Conte Wilzeck, Ministro Plenipotenziario della Lombardia Austriaca:
« Dovendosi in conformità delle sovrane risoluzioni di S.M. ripristinare il Collegio Gallio in Como sul piede che era prima della soppressione, devesi di conseguenza ripristinare la Congregazione dei Deputati che amministrava le sostanze di detto Collegio; e siccome il capo della medesima consta essere sempre stato Monsignor Vescovo per tempo di detta città; così pervengo V.S. Ill.ma e rev.ma di volersi compiacere subito di riunire la succennata Congregazione,…, dovendo però restar fermo il contratto del fabbricato dello stesso Collegio coi Padri Somaschi. Milano, 4 Settembre 1791».